Ossitocina ripara un cuore infranto, ecco cosa dice la scienza

Ossitocina ripara un cuore infranto, ecco cosa dice la scienza sull’efficacia dell’ormone dell’amore e della sua azione sul nostro organismo. 

Quanti di voi sanno cos’è l’ossitocina? Per chi nonne fosse a conoscenza, l’ossitocina è un ormone, meglio definito “ormone dell’amore”. Ma perchè si chiama così? Quali sono le sue proprietà? L’ossitocina, dice la scienza, ha la capacità di riparare i cuori infanti, ma non nel senso metaforico della frase, ma nel senso stretto. Difatti pare che agisca sul cervello aiutando a superare i problemi inerenti le “questioni d cuore”. Ma come fa? Percorriamo insieme la strada che porta alla guarigione dalle delusioni d’amore grazie alla naturale presenza dell’ormone “riparatore”.

Ossitocina ripara un cuore infranto, ecco cosa dice la scienza

Secondo uno studio effettuato e pubblicato sulla rivista Frontiers in Cell and Developmental Biology, l’ossitocina aiuta il cuore a sostituire i cardiomiociti, le cellule muscolari che comandano le contrazioni del cuore. I ricercatori di Biologia dello sviluppo e delle cellule staminali e di Ingegneria biomedica della Michigan State University hanno trovato conferma nei pesci zebra e su tessuto cardiaco umano prodotto da cellule staminali.

Ossitocina ripara un cuore infranto

Gli scienziati hanno dedotto che: “L’ossitocina ha un’altra, insospettata, funzione: stimola le cellule staminali derivate dallo strato esterno del cuore, l’epicardio, a migrare nel suo strato intermedio, il miocardio, e a trasformarsi in cardiomiociti, le cellule muscolari che generano le contrazioni cardiache. Questa scoperta potrebbe un giorno essere utilizzata per promuovere la rigenerazione del cuore umano dopo un infarto“. Secondo la tesi del prof. Aitor Aguirre, autore della ricerca, “l’ossitocina, se somministrata con la giusta tempistica e dose, promuove l’attivazione delle cellule epicardiche stimolando la rigenerazione dei tessuti necrotici. E’ un ormone neuroendocrino noto soprattutto per le sue funzioni durante il parto, l’allattamento e i legami sociali. Abbassa la pressione sanguigna e riduce l’infiammazione”.

Grazie ad uno studio pubblicato sulla rivista Cell, si è riusciti a scoprire che l'Alzheimer colpisce di più una tipologia di persone. Ecco cosa c'è da sapere. L'Alzheimer è una malattia molto seria che indica la perdita di memoria e di tutte quelle abilità mentali che di fatto minano la vita nel quotidiano. Si tratta di una forma di demenza che colpisce circa il 5 per cento della popolazione e che da uno studio pare sia più diffusa in una determinata tipologia di persone. Si tratta senza ombra di dubbio di una scoperta che cambia in maniera radicale il modo di trattare questa malattia che a conti fatti è in grado di spazzare via tutta la memoria delle persone che ne sono affetti. Alzheimer, la scoperta che cambia tutto Grazie ad uno studio effettuato sui roditori è stato possibile scoprire che la malattia in esame è più frequente in una determinata tipologia di persone. In particolare è emerso che ad ammalarsi di più sono le donne e la causa sarebbe da ricercare nel fatto che all'interno del loro cervello sarebbe presente in misura maggiore rispetto agli uomini l'enzima USP11. Questa finisce per determinare un eccessivo accumulo di proteine di natura tossica con tutte le conseguenze del caso sulla salute. In genere queste vengono eliminate grazie agli enzimi ma può capitare che tale processo subisca delle anomalie e dunque cominci a non funzionare bene. In ogni caso, uno studio messo in atto sui roditori ha portato alla scoperta del fatto che mediante l'eliminazione nel cervello degli esemplari femmine l'enzima in questione, si può preservare gli animali dal declino di natura cognitiva. Di conseguenza, grazie a questo dato è stato possibile dimostrare che in presenza di un'attività dell'enzima USP11 nelle donne aumenterebbe il rischio di ammalarsi di Alzheimer. David Kang, della Case Western Reserve School of Medicine, si è espresso al riguardo affermando che si tratta di una scoperta che getta basi importanti per lo sviluppo di farmaci sempre più efficaci contro questa tremenda malattia. Per questo il team di esperti che è riuscito a raggiungere questo risultato si è detto estremamente soddisfatto.

L’ossitocina sarebbe anche un cardioprotettore anche se non vi sono studi che lo dimostrano chiaramente che possa rigenerare il tessuto dopo un danno cardiaco. Aguirre continua: “Se l’ossitocina viene inibita farmacologicamente, la rigenerazione cardiaca si rallenta significativamente, determinando un accumulo delle fibrosi. Dopo una lesione cardiaca, l’ossitocina viene rilasciata di default dal nostro cervello, per facilitare l’attivazione epicardica e la rigenerazione del cuore. La rigenerazione del cuore è uno sforzo coordinato che coinvolge la comunicazione tra più organi e i nostri studi indicano fortemente che il cervello svolge un ruolo centrale nella riprogrammazione delle cellule epicardiche umane, stabilendo un legame neuroendocrino che non conoscevamo e con un potenziale entusiasmante nel recupero dopo gravi eventi cardiaci” – conclude.

 

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